Dal 2000, anno di fondazione della Rude Records, è stato un susseguirsi di successi e impegni anche sul sociale, interagendo in questo modo con le condizioni materiali dell’umanità, piccole ma significative realtà di e/marginati che lottano per affrancarsi, sia che si trovino negli slum indiani o nei bassifondi di Soweto o nelle lande glaciali al nord più estremo.
“Io penso che un uomo senza utopia, senza sogni, senza ideale, vale a dire senza passioni, senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto, di raziocinio. Un cinghiale laureato in matematica pura”.
Il genere Indie, storicamente esistente già dagli ’80, prende piede in Italia negli ultimi anni del Novecento. Indie sta per ‘indipendente’ e, per definizione, indica quel genere musicale slegato dalle major, ossia dalle maggiori etichette discografiche, come ad esempio la Sony o la EMI. Ne deriva che un neofita, scevro dalle conoscenze delle dinamiche, della storia e dell’economia inerenti la produzione musicale, potrebbe tranquillamente affermare che la Indie la fanno chi produce da sé il proprio album. Vari studi portati avanti soprattutto negli anni ’70, tuttavia, hanno cercato di guardare oltre questa definizione semplicistica, affermando che, molto spesso, le case discografiche minori, o indipendenti che dir si voglia, siano una sorta di talent scout: lavorano in ambito underground, scovando talenti che, in un secondo momento, le etichette major diffonderanno su un mercato più vasto.
Quando si parla di radio molte immagini si manifestano nella nostra mente: la radio in quanto oggetto, le auto radio, la radio che oggi vediamo trasmessa in televisione. Gli speaker e, agli audaci, le web radio. A qualcuno forse un’antenna o, forse, uno di quei mastodontici aggeggi che popolavano alcune case tra gli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo.
Paolo ha una voce dolce, ma dal timbro vivace. Uno sguardo attento che denota grande sensibilità, l’orecchio naturalmente raffinato. Da ragazzino suonava la batteria, ma dava un tocco particolare con il violoncello -il cui studio intanto perfezionava in conservatorio- alla band degli Tugu Tugu, un gruppo musicale messo su da Armando de Cillis, che aveva suonato con i Beatles. Il gruppo fu scritturato immediatamente dalla RCA, nota casa discografica nazionale, per cui il giovane Paolo viveva le serate romane con Milva, Patty Pravo, Dalidà, un giovanissimo Baglioni.
Era il 1998 quando un gruppo piemontese dal nome Bandabardò pubblica Beppeanna. 25 anni dopo lo stesso brano con il titolo “Se mi rilasso…collasso" viene riproposto dal gruppo in collaborazione con degli amici. Questi amici potremmo definirli un gruppo, certamente eterogeneo, sicuramente simbolo della musica del nuovo millennio; per essere più precisi, anzi, si potrebbe dire che siano una rappresentanza di un ponte tra gli anni Novanta del secolo scorso e gli anni Duemila: alba di un nuovo millennio che sta per sorgere.
Gli anni d’oro della musica italiana, soprattutto quelli legati agli anni ’60, sembrano scomparire nell’ultimo decennio del secolo scorso. Eppure, molti fra i trentenni, oggi, quando pensano agli anni ’90, provano un senso di nostalgia. E questo perché sovente a quell’età non si ha una visione d’insieme della storia, ma si rimane legati ai fatti del proprio tempo, senza inserirlo nei processi più importanti e lunghi, e dunque senza grandi distinguo. Una circostanza, questa, legata alla complessità, alla crescita e al cambiamento molto rapido della nostra società. Una società, che richiede un’età più avanzata per lo sviluppo di una consapevolezza più o meno compiuta.
“Cosa resterà degli anni ’80…”si chiedeva Raf, nome d’arte di Raffaele Riefoli, nel 1989, in cui due momenti più di altri segnarono la nostra memoria: lo studente in piazza Tienanmen nel giugno e la Caduta del Muro di Berlino, in novembre, che fu simbolo per 30 anni di divisione non solo per una città ma per il mondo intero. Ma gli anni ’80, solo in parte possono identificarsi in questi due momenti fondanti per l’Umanità, perché sebbene segnano, infatti, la fine di un lungo processo storico iniziato cento anni prima, con la pace di Versailles, di fatto sono “pieni” di tanto altro, soprattutto sul piano musicale, e non solo in Italia.
Gli anni Settanta, quelli dove “tutto cambia”, sono gli anni delle barricate in piazza, degli scioperi, delle rivoluzioni, già avviate sul finire degli anni Sessanta, sono gli anni della strage di Piazza Fontana, di Lotta Continua e delle Brigate Rosse e di Aldo Moro, ma sono il tempo anche ed ancora dei Figli dei Fiori, delle luci psichedeliche… nascevano le discoteche. Gli anni Settanta sono, poi, gli anni delle radio libere: ufficializzato dalla Corte Costituzionale nel 1976 tale fenomeno dilaga nel Paese. La radio, come canta Finardi nel 1976, libera la mente e la musica si fa ribelle. Nel 1974 Enzo Del Re, che val ben citare, scrive, infatti, Lavorare con lentezza, slogan del movimento extra-parlamentare, utilizzata dalla celeberrima Radio Alice. Lavorare con lentezza è canto di lavoro, la paga dello stesso Del Re (quando si esibiva) e di quella di un operaio metalmeccanico.
La canzone italiana, ed in particolare il cantautorato, ancora oggi trova la sua culla più naturale e congeniale nella “scuola genovese.” Viene spontaneo chiedersi il perché di tale vocazione di questo antico centro italiano, che sin dagli anni ’60 dello scorso secolo ha espresso eccellenze di rilievo nazionale ed internazionale. Innanzitutto, un ruolo di spicco l’ha svolto e lo svolge il Festival di Sanremo, che lancia i primi interpreti di propri motivi, quali Modugno, Bindi, Gaber e Celentano.
È negli anni ’60 che, in Italia, la canzone cantautorale nasce e prende corpo. Una canzone che affonda le sue radici nel grande sviluppo sociale ed economico di quegli anni; che porta con sé, ovviamente, una serie di frizioni sociali, una nuova visione dell’esistenza e della realtà, una vita a tratti completamente diversa. E così, mentre da un lato troviamo un crescente benessere materiale, un’accelerazione dello sviluppo urbano, una classe operaia con una scolarizzazione sempre più spinta e profonda, dall’altra si acuiscono i contrasti sociali e le tensioni politiche, che culmineranno nel “famoso autunno caldo” del 1969. Sul piano della canzone, si ha la scoperta del reale con le sue gioie, ma anche con le sue sofferenze e delusioni e, tale fenomeno, risulta essere particolarmente rilevante, riuscendo a mettere insieme tasselli differenti della cultura italiana di quegli anni, dandone risalto, allontanandosi quindi dal più semplice binomio voce e canzone. È, in definitiva e idealisticamente, una canzone nuova quella che si presenta; una canzone che cerca di ‘amalgamare’ popolo ed intellettuali, in un’unica componente sociale.
Ai fatti storici e agli avvenimenti di spicco che segnano la storia può accadere che talvolta vengano dedicati film e canzoni. Non poteva essere altrimenti per la vita e la lotta di Giuseppe Impastato, detto Peppino, in riferimento alla sua azione contro la mafia e i suoi burattinai. Questa infatti è oggetto de “I cento passi”, titolo del film e di una canzone, a lui dedicati e che divulgano l’essenza della sua storia. Una vita speciale in sintesi evocata dal titolo di queste opere d’arte, in quanto questo rimanda alla vera essenza delle vicende che lo videro protagonista. Non a caso fra la casa di Giuseppe Impastato e quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti, che ne commissionò l’omicidio, non vi erano più di 100 metri. Lui, Giuseppe, fu l’elemento interno al sistema mafioso che deviò dallo stesso, mettendolo in crisi.
La musica, come è facilmente comprensibile, ha una storia molto densa, le cui radici trovano gran parte delle loro ramificazioni originarie nel Bel Paese, sì proprio in Italia. Infatti, non può non tenersi conto che proprio qui vengono inventati il pentagramma e le sette note musicali tra il 700 e il 1000 d.c., avendo peraltro molte derive esoteriche. Non è un caso, ad esempio, che le note siano sette e che la loro nominazione sia stata formulata sull’Inno di San Giovanni. Una storia, comunque, che non è fatta solo di avvenimenti e melodie, ma anche di grandi discussioni non solo su problemi strettamente tecnici, ma anche filosofici e da qui sociologici ed economici. Per tutte vale la grande questione ottocentesca focalizzata sull’accordatura, che fu permeata non solo da motivazioni artistiche, ma anche sociologiche e financo militari.
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Dopo più di tre anni, ritorna sul proscenio di questa nostra rubrica, Quadri e S-Quadri appunto, una delle sue prime protagoniste, ovvero Filomena d’Ambrosio, naturalizzata leccese, perché originaria di Tursi in provincia di Matera. Correva, infatti, il novembre del 2020 quando pubblicammo una sua opera di particolare interesse e che destò l’attenzione di non pochi osservatori. Da allora molti artisti, alcuni noti, altri meno, alcuni verso la fine della propria carriera, altri appena agli esordi, sono apparsi con le loro opere tra le nostre pagine sommandosi così, mese dopo mese, alla nostra Filomena, che nel frattempo è stata capace di guadagnare posizioni vieppiù importanti, sia in termini strutturali sia in termini contenutistici, ma anche sotto il profilo tecnico, per lo sviluppo di un’arte, la sua, che va a rinforzare alcune connotazioni, che oramai sono divenute spiccate e marcatamente caratterizzanti la Nostra artista.
15 Febbraio 2024È Donato Carlà il protagonista del ventesimo appuntamento di questa nostra Rubrica, Quadri & S-Quadri, inaugurata ben oltre quattro anni fa, con lo scopo di realizzare degli spot su artisti noti e meno noti, salentini, ma anche di risonanza più ampia. Un protagonista non solo per la sua pittura. Donato, infatti, è stato artista molto attivo tra gli anni ’70 e ’80. Cresciuto come abile pittore tra Lecce e Milano, dove infatti, qui ha conseguito il massimo titolo formativo, presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera, a partire dagli anni ’90 per molte circostanze coincidenti ha dovuto allontanarsi dal mondo della pittura, che solo dopo trent’anni, qualche tempo addietro, insomma, l’ha richiamato a rispettare la sua antica e originaria passione, a dare compimento anche a questo suo aspetto della sua esistenza. Richiamo che si è tradotto in un corpo di opere, a nostro avviso, di grande interesse, e non solo perché è qualcosa che esce fuori dal coro…
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