C’era una volta la radio… - Francesca Greco

C’era una volta la radio… - Francesca Greco

           Quando si parla di radio molte immagini si manifestano nella nostra mente: la radio in quanto oggetto, le auto radio, la radio che oggi vediamo trasmessa in televisione. Gli speaker e, agli audaci, le web radio. A qualcuno forse un’antenna o, forse, uno di quei mastodontici aggeggi che popolavano alcune case tra gli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo.

         Certo è che la radio non è sempre stata il media che oggi conosciamo. Oggi pensiamo alla radio come media commerciale, come voci da sentire, raramente ascoltare, mentre svolgiamo altre attività. La radio, ai suoi esordi italiani, nasce nel 1924 per volontà di Costanzo Ciano, Ministro delle poste nel primo governo Mussolini. Nel gennaio del 1928 l’ente cambia nome e si trasformò nell’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche), che successivamente nel 1949 assunse una sigla che noi tutti conosciamo: RAI (Radio Audizioni Italiane).

           Unitamente alle esigenze sociali degli anni ’60 e ’70 del XX secolo, la radio si fa espressione di libertà: specchio di quello che nei precedenti articoli ci siamo scritti. L’autonomia, l’indipendenza, la voglia di esprimere liberamente il proprio pensiero, le lotte sociali e politiche animavano tanto la musica e le canzoni. La radio, così, si fa porta-voce: un’espressione corale di bisogno comunitario. Nel bel mezzo degli anni ’70, nel 1975, Radio Parma sfida il primato detenuto dalla radio pubblica e trasmette come radio privata.

           Fino alla sentenza 202/1976 della Corte Costituzionale (28 luglio 1976) le radio trasmettevano utilizzando una interpretazione estensiva della legge allora vigente (la 103/1975) e quindi erano esposte a denunce e sequestri. Questo passaggio, questa libertà di dire, di pensare, di ascoltare, di scegliere la fonte di informazione, scardina e stravolge, la storia della radio. Un’indipendenza che sconvolge gli animi.

           In pochi anni, o forse pochi mesi, tutte le frequenze disponibili, almeno nelle grandi città, vennero occupate da decine di radio libere. Per coprire le ventiquattrore naturalmente la musica era fondamentale: dalla lirica, al cantautorato, dal pop, al rock, tutta la musica era accolta da quella strumentazione precaria, da quelle orecchie così propense all’ascolto.

           Se scriviamo radio si pensa, poi, senza quasi dubbio alcuno, a “La radio” di Eugenio Finardi (1976); se scriviamo Radio libere si guarda alla bolognese Radio Alice, una tra le emittenti emblema del periodo: priva di palinsesto e di redazione, annunciava la rivoluzione mediatica che stava per irrompere attraverso l'uso continuo e incondizionato della diretta telefonica. Radio Alice fondeva alle istanze politiche pratiche artistiche sì da farne, azzardatamente, un James Joyce dell’FM. Se scriviamo, invece, radio pirata, rivolgiamo l’attenzione alla londinese Radio Caroline, raccontata da I love radio rock: ulteriore testimonianza dell’insoddisfazione che le radio nazionali, in questo caso la BBC, segnavano negli ascoltatori.

           Tuttavia bisogna ammettere, probabilmente a malincuore, quanto il primato della radio sia lentamente andato scemando dopo l’avvento della televisione. Negli anni la radio ha certamente modificato il suo ruolo: la strada spianata dagli anni di contestazioni, da stanze occupate con strumentazioni improvvisate, sembra aver lasciato il posto a una mera trasmissione di brani di scarso valore culturale e di grande valore commerciale.

           Lungi da svolgere qui una critica o un’operazione nostalgica. La radio, assieme ad altri media, ha evoluto sé stessa per poter dare voce agli animi: una speranza, probabilmente, che potrebbe essere riposta oggi nelle web radio (di cui molte universitarie). Una forma a basso costo di trasmissione dei palinsesti, una forma di comunicazione lontana dai grandi network dove, forse, e lo ribadiamo al fine di marcarne la precarietà, il coro e la personalizzazione dei programmi potrebbero rispondere a fabbisogni celati e alla rivalutazione di un media che ha fatto la storia della nostra nazione.

           Un augurio alle radio, auspicio di nuove attenzioni, verso un mezzo che in nessun momento ha abbandonato generazioni di ascoltatori, indistintamente dal genere, senza ruolo alcuno. La radio ascolta e si fa ascoltare, la radio, ieri come oggi, si può fare per pensare.

Francesca Greco

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