L’Italia è paralizzata dopo l’ultimo DPCM di Conte che ha chiuso piscine, palestre, cinema, teatri, ristoranti dopo le 18,00 etc., il tutto per frenare la pandemia.
L’invito a intervenire per far cessare gli sgomberi giudiziari in tutta Italia e nell’immediato nei confronti della famiglia Felice Basile di Altamura (Ba) giunge anche al senatore Matteo Renzi, leader di Italia Viva, e all’onorevole Luigi Marattin, Presidente della Commissione Finanze della Camera.
“Il sottoscritto nato ad Altamura e ivi residente, titolare di una Ditta Individuale (cessata), disoccupato e senza più alcun reddito…” - così inizia il suo appello alle più alte Autorità Politiche e Giudiziarie Felice Basile.
È ormai all’ordine del giorno la discussione sulla questione Scuola, che coinvolge la sicurezza da contagio e nuove possibili modalità di organizzazione delle lezioni, proprio rispetto alla nuova crescita di contagiati e le ultime disposizioni emanate dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Tra i vari punti dibattuti e portati alla luce, uno è il gran numero di docenti di cui la nostra Scuola necessita, specie nel paventato nuovo orientamento per evitare le classi “pollaio”, ancor di più nel momento pandemico che l’Italia, e non solo l’Italia, sta attraversando.
Due battaglie campali, quelle di Waterloo e Stalingrado, ricordate per due risultati opposti: la sconfitta e la vittoria; la fine tragica di una lunga guerra, da una parte, e dall’altra il punto del riavvio e della rivalsa, sino alla vittoria, di un popolo lungamente assediato dal nemico. Due espressioni che rendono bene l’idea dell’epilogo o di un tratto di strada, per spiegare come effettivamente sia andata a noi di Venti di Ponente: una sconfitta o una vittoria, dunque? Ed è proprio su questo che qui ci si sofferma, dopo 100 giorni, dal lancio e dall’inizio dell’esperienza maturata in questo nuovo quotidiano online di approfondimento, epicentrato a Lecce. E Venti di Ponente appunto, si chiede se si sia dinanzi ad un fallimento totale o, al contrario, davanti ad un nuovo corso, proprio con le prime vittorie. Si sa, sia il fallimento sia la vittoria segnano il passo, l’uno e l’altra sono utili per soffermarsi e comprendere ciò che è stato, acquisire dunque coscienza della propria identità, presenza, il proprio essere così e non diversamente.
I leccesi: falsi e cortesi! È questo un antico detto, col quale si appellano in senso dispregiativo, gli abitanti del capoluogo salentino. Ma è poi così? È decisamente interpretabile in senso negativo? Se si riflettesse sulla questione, tuttavia, questa può essere considerata, al contrario, in senso positivo ed accrescitivo. Ma da dove partire? Ma dal ribaltamento della visione della realtà da una prospettiva ideale ad una concreta, e dal primo addendo dell’affermazione, ovvero quello della falsità. E qui è il caso di cominciare a dirci le cose come stanno, senza tuttavia strumentalizzarle ed abusarne.
Riappropriarsi degli spazi sociali e della socialità, in un contesto totalizzante ed escludente, in questo sistema capitalista e, ancora di più, dopo tre mesi di isolamento a causa della pandemia. Tornare a vivere da società e non solo come singoli individui, frequentare le piazze come insieme e non come semplice somma di corpi. Vale per quegli spazi ludici, come ristoranti o birrerie, vale per quelli della lotta e del pensiero alternativo indispensabile, da coltivare e tutelare a garanzia della sopravvivenza della democrazia. Una democrazia intaccata dal pensiero debole, che ha portato all’isolamento psicologico del cittadino comune, da qui lo spazio sociale come possibilità di intesa, di raccordo, per rompere la dittatura del relativismo, voluta tramite Popper. “L’essere umano è un animale sociale” sosteneva Aristotele, già nel IV secolo A.C., perché tende ed è spinto ad aggregarsi, naturalmente o per necessità. Gli esseri umani debbono unirsi, ma non nella prospettiva meccanica e durkheimiana, ma un’unione di intenti e costrutti, obiettivi volti al rinnovamento della società e non invece al sostentamento del consumismo e, dunque, del capitalismo, il quale sebbene, non condannabile, perché conduce al benessere materiale, sicuramente è da superare. È questo il progresso che si realizza anche attraverso questi spazi sociali. Gli esseri umani si aggregano perché sanno che come singoli possono realizzare poco, perché da collettivo possono raggiungere traguardi più alti, perché da collettivo possono vincere le battaglie sociali ed economiche. Sebbene, qualcuno, come ovvio, può preferire la solitudine e la sua singolarità, un individualismo intimo che non deve, però, mai tradursi in autismo sociale.
Lo shock-covid non ha risparmiato neanche il mondo dell’arte, dello spettacolo e della cultura, soprattutto nei suoi aspetti più profondi, non solo antropologici e sociali, ma anche economici stricto sensu. Anche nel leccese, che accoglie uno dei distretti culturali più importanti in ambito nazionale, per profondità e diffusione sociale, si sono sentiti forti, fortissimi, gli effetti della più ampia congiuntura del nostro Paese, che hanno inciso in maniera segnante.
È una nuova società quella che stiamo vivendo? Dopo 50 giorni di confinamento sociale, detto eufemisticamente con termine anglofono “lockdown”, è cambiata la cultura del popolo italiano? Altrimenti, nulla è cambiato in noi? Di certo un così lungo lasso di tempo, caratterizzato dall’ isolamento, non può non aver lasciato il suo segno. Un segno che, non è azzardato affermare, è profondo e che ha di certo lasciato i suoi segni nei nostri assetti culturali, e di rimando nel nostro modo di intendere e capire la società, noi stessi, la politica e l’economia. Insomma, una quarantena che ha generato un mutamento, che ha portato con sé, inevitabilmente, tutta una serie di frizioni nei nostri assett psicologici, ma anche sociali, e da qui ad un processo di revisione nella concezione delle nostre prospettive e aspettative, per le quali, quindi, non è innaturale trovarsi in una situazione di disagio e debolezza, di confusione in definitiva, che caratterizzerà gran parte della popolazione italiana fino a quando non si ridisegneranno i nuovi sogni, i nuovi desideri.
Dopo oltre 50 giorni di “arresti domiciliari” per le note questioni legate al coronavirus, ieri, la maggior parte dei cittadini italiani ha cominciato, quasi come in un percorso riabilitativo e sebbene lentamente, a riprendere le proprie pratiche quotidiane, avendo riacquisito, infatti, un pezzo del loro diritto naturale alla libertà di movimento. Certamente, siamo ancora lontani da un ritorno alla normalità, semmai si tornerà, ma intanto ci si ricomincia a muovere.
Per com-prendere i tratti dominanti di una società, ed in particolare della nostra, quella italiana, non si possono non considerare i caratteri specifici della storia recente, quella risalente nel tempo di almeno tre decenni. Un arco temporale necessario e sufficiente, infatti, affinché si producano nella società cambiamenti stabili e profondi, significativi e quasi irreversibili. Ma veniamo al dunque.
È di questi giorni la polemica, o scontro, sull’applicazione per smartphone titolata “Immuni” al fine di consentire il tracciamento dei cittadini nella fase 2 dell’emergenza Covid-19. Quale il punto della questione? La privacy di ognuno di noi, pare.
Occorre, al riguardo, fare un po’ di chiarezza, senza troppi ragionamenti. O meglio, abbandonando la ragione per consegnarci alla ragionevolezza.
Negli ultimi giorni è montata forte la diatriba sulla questione 41 bis. Alcuni personaggi detenuti con tale regime speciale di trattamento, in quanto soggetti di estrema pericolosità, che non è assolutamente da correlarsi all’età, saranno o sono stati già scarcerati e posti agli arresti domiciliari, sulla base di una nota del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria emanata il 21 marzo scorso, pare in ottemperanza al decreto “Cura Italia” del 17 marzo.
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15 Marzo 2024