I bignè di Nonna Laura, la torta mummificata e la rivoluzione industriale - di Monia Politi

I bignè di Nonna Laura, la torta mummificata e la rivoluzione industriale - di Monia Politi

     Questa volta il “quaderno di ricette” di Nonna Laura si apre sulle pagine della ricetta dei bignè… che fanno parte di quel tipo di dolci in grado di risvegliare le MIE sensazioni di bambina, quando mi incantava guardare la nonna indaffarata in cucina.

    Nel frattempo, IN QUESTI GIORNI, sfogliando le pagine delle notizie sul web ho letto un titolo CHE MI HA INCURIOSITA: “Ritrovata tra le macerie in Germania una torta mandorle e noci di 80 anni fa”, dove si comunicava    il ritrovamento di una torta ben conservata in occasione di scavi archeologici effettuati presso l’Alfstrasse, una delle strade principali e più antiche della città di Lubecca, in Germania.

    A quel punto l’associazione è arrivata naturale: la notizia mi ha riportato ai “banchetti” della mia infanzia che nonna Laura organizzava e in particolare ai suoi famosi bignè. Sono dolci conosciuti e unici che secondo me vanno amati in fase di preparazione, affinché il risultato finale sia quello desiderato: una sorta di conchiglia dal guscio morbidissimo, traboccante di crema pasticcera.

    Non c’era un’occasione speciale per prepararli, anche se di solito la domenica arrivavano in tavola a fine pranzo e, COME DA TRADIZIONE, LA MAGGIOR PARTE comprava le “paste fresche” in pasticceria (espressione utilizzata dalle nostre parti per indicare i pezzi dolci), noi avevamo il privilegio di gustare un dolce sano e buonissimo e, nel frattempo, la nonna era diventata famosa in tutto il paese per i suoi fantastici bignè!

    Con la mente entro in cucina dove Nonna Laura cominciava con la preparazione della cosiddetta “pasta choux”, dove, in un pentolino posto sul fuoco, il burro a pezzetti e l’acqua, notoriamente immiscibili, entravano a contatto. Quando l’acqua cominciava a borbottare, la nonna versava in un sol colpo la farina e cominciava a mescolare con tutta la sua forza per ottenere una pasta profumata di burro. Era quello il momento di spegnere e far raffreddare l’impasto. Poi, crescendo ho scoperto che i tempi di raffreddamento e riposo degli impasti sono fondamentali, affinché il preparato trovi il suo equilibrio finale e possa sprigionare in fase di cottura tutta la sua bontà: è come permettere di rilassare i muscoli dopo un allenamento intenso.

     Ma, veniamo alle riflessioni chimiche: da dove vengono gli aromi inconfondibili emanati dai prodotti di pasticceria che contengono il burro?

    Il sapore di burro cotto è causato da molecole (lattoni e metilchetoni) presenti solo in tracce nel burro fresco; con la cottura la concentrazione di queste molecole aumenta donando il sapore e profumo caratteristici. Così, quando l’impasto risultava freddo, la nonna aggiungeva, uno alla volta, le uova dando alla pasta la possibilità di assorbirle con calma. La gradualità e l’attesa di questa fase era quasi estenuante, ma permetteva di addizionare il numero ottimale di uova che, se aggiunte oltre il valore di soglia, davano vita a frittelle basse più che a bignè trionfanti.

     Terminata questa operazione, si lasciava l’impasto si lasciava riposare per un po’. Nel frattempo, la nonna sfoderava un attrezzo da cucina in grado di donare alla pasta choux una forma aggraziata e regale: la sacca da pasticcere. L’impasto veniva inserito nella tasca a cucchiaiate e successivamente su una teglia di ferro avveniva la magia: crescevano tanti cappelli a punta che venivano passati in forno caldo a 180°C per 10-15 minuti. Il forno permetteva all’impasto di crescere e di creare all’interno una cavità che avrebbe accolto la crema.

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    Ma come mai il bignè rimane vuoto all’interno? E ancora ce lo spiega la chimica. Una volta in forno, lo strato esterno della pasta inizia a cuocere, rimanendo elastico per un po’, sia per la presenza di glutine contenuto nella farina che per le proteine dell’uovo. A mano a mano che la temperatura dell’impasto aumenta, l’acqua in esso contenuta si trasforma in vapore che viene parzialmente trattenuto dal guscio esterno che, essendo ancora elastico, inizia a gonfiarsi. Una volta cotta la pasta choux lascia una cavità all’interno che può essere riempita con la crema.

    Ma “la rivoluzione industriale” cosa ha a che fare con questo racconto? Penso sia la domanda che alcuni di voi si siano chiesto sin dall’inizio. La rivoluzione industriale è iniziata verso la fine del Settecento, quando scienziati e ingegneri capirono come imbrigliare e sfruttare la forza esercitata dal vapore acqueo. Se fossero stati anche pasticcieri forse la rivoluzione industriale sarebbe iniziata prima. In cucina, infatti, il vapore era già stato imbrigliato due secoli prima da un capo pasticciere italiano della corte di Caterina de Medici, andata in Francia sposa del re Enrico II: Panterelli, questo il suo nome, il quale ideò un impasto leggero e areato che era in grado di imbrigliare il vapore.

    Un po' più tardi, nel XIX secolo, l’impasto prese il nome di “pasta choux”, in quanto i dolci ottenuti assomigliavano a piccoli cavoli, grazie al pasticciere francese Avice che ne perfezionò la ricetta con farciture di crema pasticcera o crema chantilly.

   Orbene, siamo giunti alla fine di questo racconto che è stato anche un po' un viaggio nella storia e… nel frattempo, qualora vi fosse venuta voglia di preparare i bignè, vi lascio la ricetta della nonna.

Buon esperimento!

Ingredienti:

100 ml d'acqua

50 g di burro

 60 g di farina

 2 uova medie intere

 1 pizzico di sale.

 1 cucchiaino di zucchero (facoltativo)

 

Per farcire: crema pasticcera

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