Appunti per la storia del Distretto Culturale Leccese: i presupposti e gli antefatti – di Samuele de Benedetto

Appunti per la storia del Distretto Culturale Leccese: i presupposti e gli antefatti – di Samuele de Benedetto

Il Distretto Culturale Leccese quale fenomeno socio-economico e culturale massificato, di popolo, prende corpo qualche anno dopo la caduta del Muro di Berlino e con l’avvio della Seconda Repubblica. Fatti questi che sommati alla crisi economica del 1992 pongono le basi affinché il mitico mondo della cultura, degli intellettuali, del teatro e dello spettacolo in genere, scenda, per la prima volta nella storia dell’umanità, dall’empireo delle élite per propagarsi, diffondersi e riprodursi secondo schemi in parte propri, nelle fasce intermedie e poi basse della società.

            Fino a tutti gli anni ’80, la cultura era infatti prerogativa delle classi dirigenti, in massima parte, tra le quali rientrava anche quella politica, fatta tutta, come è noto, da persone di calibro superiore. Nel 1990, inoltre, in Italia i laureati non erano più di due milioni, circa il 3% della popolazione, e si erano formati all’interno di una ristretta cerchia di strutture universitarie, destinate solo a chi aveva le possibilità economiche importanti e in maggior parte ai rampolli dell’upper class italiana.

         Nello specifico, a Lecce, alla fine degli anni ’80, il fenomeno universitario sotto i profili istituzionali e strutturale si presentava veramente modesto. Esistevano solo le facoltà letterarie, quelle di matematica e fisica e biologia, alle quali si aggiunse sul finire del decennio, come grande novità, la facoltà di Scienze Bancarie e Assicurative.

            Una situazione completamente diversa da oggi dove vi è dappertutto un pullulare di strutture universitarie, con le più disparate facoltà. E al contrario di trent’anni fa, oggi i laureati sono più di 12 milioni, pari ad oltre il 20% della popolazione. Un dato comunque ben al di sotto delle medie europee.

            Un altro parametro di riferimento rispetto alla situazione di trent’anni fa lo si trova nelle attività editoriali. Intorno al 1990 si pubblicavano mediamente 20.000 titoli all’anno, oggi abbiamo superato gli 80.000; nel 2021 sono stati più di 82.000. E il dato è di grande rilievo se si considera che la popolazione italiana da allora è rimasta pressoché invariata, modificandosi nel trentennio segnalato di solo 3 milioni di unità circa, passando infatti dai 56 ai 59 milioni.

            Per dare una certa completezza al quadro di riferimento in cui collocare la nascita del Distretto Culturale Leccese vanno considerare le principali dinamiche economiche del trentennio, anche con riferimento al caso lecce, le quali risultano sotto molti aspetti fortemente accelerate. Nello specifico, il comparto industriale, centrale nell’economia italiana, comincia proprio con la Seconda Repubblica a espellere manodopera in maniera sempre più veloce, per due fattori: da un lato si assiste ad un rapido processo di robottizzazione ed informatizzazione dei processi produttivi, dall’altro troviamo la pratica del decentramento produttivo delle lavorazioni ad alto contenuto di manodopera, praticato verso i paesi dell’Est, con la Cina in testa. Tutto questo, mentre nel frattempo il settore agricolo si meccanizza in maniera spinta e si desertifica del fattore umano.

         E così, anno dopo anno, si realizza un massiccio spostamento della popolazione dai settori produttivi di base a quelli più evoluti, quali il terziario, dove insistono la sanità, l’università, il sistema finanziario e bancario. A questi bisogna aggiungere il comparto dell’arte, lo spettacolo e la cultura, che continua ancora oggi ad accogliere tutta quella popolazione, peraltro sempre più numerosa, espulsa dai processi produttivi stricto sensu.

            In provincia di Lecce, un colpo robusto a questo processo di spostamento della popolazione viene dato dalla dismissione del TAC, il comparto industriale del Tessile, Abbigliamento e Calzature, che contava ancora negli anni ’90 più di 40.000 addetti, secondo stime pessimistiche. Nel 2005, infatti, per l’effetto dell’entrata in vigore dell’Euro, il TAC si assottiglia a circa 10.000 addetti. Ma c’è di più. Anche il comparto Pubblico, che negli anni ’80 contava circa 35.000 addetti, per effetto dell’informatizzazione dell’amministrazione statale si riduce già nel 2010 a circa 20.000 unità.

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            In sintesi, nel trentennio considerato, per effetto dei progressi tecnologici, se da un lato la popolazione rifluisce verso i settori più evoluti dell’economia e della società, dall’altro si alimenta in maniera importantissima il sistema formativo superiore, che produce giovani sempre più colti e preparati. Nel frattempo, lo strumento culturale cessa progressivamente di essere fortemente caratterizzato da una struttura politica tripolare. E così con la fine delle ideologie e la fine anche della figura dell’intellettuale, quale attore e motore primo della politica, la cultura viene devoluta alle classi intermedie e basse del sistema sociale, come forma espressiva, di intrattenimento e d’opinione. Ma tale processo, ancora in atto, non è stato e non è semplice, in quanto spesso non viene colto e recepito dalla popolazione e dalla società tutta.

            In tale quadro, il “caso leccese” si presenta, invece, quale eccellenza in tali sviluppi, distinguendosi non solo a livello regionale, ma anche a livello nazionale, per rapidità di adattamento alle nuove dinamiche e logiche sociali. Ancora oggi, il livello di attività culturali e dello spettacolo nelle provincie di Brindisi, Taranto, Bari e Foggia, infatti, si presenta decisamente modesto rispetto a quanto si registra a Lecce e nel leccese.

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