Mondo Social: il punto della situazione - di Matteo Gentile

Mondo Social: il punto della situazione - di Matteo Gentile

      Sul pianeta Terra, a oggi, la popolazione dei social media ha appena raggiunto la quota di 5 miliardi di utenti, secondo i dati forniti da Meltwater, leader mondiale nel settore dei media, della social intelligence e dei consumatori, e We Are Social, l’agenzia creativa a guida sociale, che hanno pubblicato Digital 2024, ultimo rapporto annuale sui social media e tendenze digitali in tutto il mondo.

    Se si pensa che, secondo i dati aggiornati in tempo reale sul sito www.worldometers.info/it, al mondo ci sono otto miliardi e quasi cento milioni di abitanti, con una crescita continua di circa centoventi esseri umani al minuto, tra decessi e nuove nascite, si può dire che il 62,3% della popolazione mondiale ha un profilo su una delle piattaforme cosiddette “social”.

     Un dato numerico che si può definire impressionante, nel bene (dei vari proprietari delle piattaforme in questione) e nel male (di genitori e agenzie educative, impegnati o meno in una lotta che definire impari è un eufemismo). Se si aggiunge il dato che racconta di come l’utente tipico dei social trascorra 2 ore e 23 minuti al giorno sulle piattaforme social preferite, per un totale di 34 ore mensili, e che TikTok abbia il tempo medio per utente Android più alto di qualsiasi piattaforma a livello mondiale, una riflessione è certamente d’obbligo. TikTok, per nascita e sviluppo, è il social con l’età media più bassa, anche se ormai è stata presa d’assalto anche da personaggi più o meno noti.

     Ma quanto i social media possono essere considerati pericolosi? O, almeno, chi pensa che lo siano? Non certamente i loro proprietari ed editori, ovviamente, e neanche la miriade di inserzionisti che bombarda gli utenti con inserzioni pubblicitarie, link più o meno attrattivi, esche a contenuti a pagamento. Tutto lecito, o si rasenta il limite della manipolazione a fini commerciali e, o, sociali? Lo scorso 24 gennaio il sindaco di New York, Eric Adams, è sceso in campo, esponendosi in prima persona. Nel corso del consueto discorso annuale, infatti, ha lanciato un’accusa pubblica ai social media, definendoli delle «tossine ambientali».

       E a meno di un mese di distanza dalla conferenza, ecco l'annuncio dell'avvio di una vera causa legale. I motivi per cui è stata intentata sono, secondo l'amministrazione di NYC, i danni provocati alla salute mentale dei più giovani. «È giunto il momento di ritenerli responsabili di aver alimentato la crisi nazionale della salute mentale giovanile, e questo è il primo passo», ha affermato Eric Adams dal proprio profilo su X, il nuovo social nato sulle cenerei di twitter.

     E così la città di New York ha sporto denuncia contro TikTok, Meta, Snap e Alphabet. Poche settimane fa anche il Senato degli Stati Uniti, aveva accusato le piattaforme digitali di avere le mani «sporche di sangue». Come tutte per tutte le attività umane, andrebbero fatti gli opportuni distinguo. Secondo gli oppositori dei social, anche se la maggior parte delle persone tende a condividere solo i momenti salienti della propria vita sui social, raramente i più bassi, ciò non diminuisce i sentimenti di invidia e insoddisfazione della propria vita quando si scorrono le foto patinate degli amici. Ma è anche vero che dovrebbe essere l’utente stesso a usare tali mezzi con consapevolezza e in maniera intelligente, in modo da farne un uso corretto.

     Ma quando si tratta di bambini o di adolescenti, quanto è difficile pensare alla loro capacità di discernimento? Sono note ormai le cosiddette challenge, le sfide che portano a gesti estremi, o gli episodi di cyber-bullismo. Ma questa è soltanto una punta dell’iceberg. Lo smodato uso dei social media, come per tutte le cose, può portare a una forma di dipendenza, nel peggiore dei casi, o a una sorta di depressione nello scoprirsi poveri di like o di consensi.

      È anche vero pensare che, se sei persone su dieci sul pianeta Terra usano questi mezzi di comunicazione di massa, ormai saranno quasi azzerati i sei gradi di separazione teorizzati per la prima volta nel 1929 da Frigyes Karinthy, successivamente dimostrati anche matematicamente da Ithiel de Sola Pool (MIT) e Manfred Kochen (IBM). Lo scrittore ungherese, infatti, formulò l’ipotesi secondo la quale ogni persona può essere collegata a qualunque altra persona o cosa attraverso una catena di conoscenze e relazioni con non più di 5 intermediari. Con le attuali possibilità tecnologiche, si potrebbe dire che, praticamente, questi gradi di separazione si potrebbero praticamente azzerare. Così come, sempre attraverso l’enorme mole di informazioni e link condivisi attraverso i social media, la conoscenza di base dovrebbe amplificarsi, consentendo a tutti gli utenti di apprendere una quantità nozioni e concetti impensabile fino a pochi decenni fa. Ma in questo mare magnum, non sempre è facile districarsi tra cosiddette “fake news”, o bufale che dir si voglia, tra inserzioni a puro scopo commerciale e, cosa ancora più negativa, dagli “attacchi” degli “haters”, gli odiatori digitali che spesso minano le certezze e sicurezze di molti utenti.

     La grande causa intrapresa dall’amministrazione di una delle città più emblematiche della modernità, New York, appunto, già nota come la “Grande Mela”, inizialmente per via delle scommesse ai cavalli effettuate agli inizi del ventesimo secolo, e successivamente perché una mela rossa era il compenso che ricevevano i musicisti degli anni 30 suonando nei locali di Harlem e Manhattan, farà molto probabilmente scalpore. Non abbiamo idea, ovviamente, di dove potrebbe andare a parare, se sarà soltanto una grande trovata mediatica, o se effettivamente porterà a qualche risultato concreto.

     Resta il fatto, che, se così tanta gente utilizza questo mezzo, è giunto davvero il momento di regolamentarlo, e di non lasciare che resti una sorta di terra franca dove, in nome della libertà di espressione, si possa pubblicare di tutto senza pensare alle conseguenze sociali e psicologiche che i contenuti “sciolti” possono provocare.

     Se esiste una legge che prevede l’obbligo di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare, forse sarebbe il caso di prevederne una analoga relativa al mare delle informazioni che viaggiano in rete. Al di là della responsabilità e della consapevolezza individuale, parafrasando la famosa citazione plautiana “Homo homini lupus” utilizzata dal filosofo Thomas Hobbes per spiegare l’egoismo umano, “ogni uomo è un lupo per un altro uomo”, appunto, si potrebbe dire che oggi più che ieri andrebbe scongiurato il pericolo per cui l’utente dei social diventi sempre più aggressivo nei confronti dell’altro, con lo scopo di convogliare l’uso di un mezzo così potente come i social media, o la tecnologia in generale, verso un uso positivo e consapevole.

Matteo Gentile

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