Dubai oltre l’Expo 2020: dal “sogno americano” al “sogno arabo”? - di Gianmarco Pennetta

Dubai oltre l’Expo 2020: dal “sogno americano” al “sogno arabo”? - di Gianmarco Pennetta

        Se fino a poco tempo fa eravamo abituati a definire gli Stati Uniti la terra del “sogno americano” dove prima o poi, per molti arrivava la possibilità di un riscatto sociale, in contrapposizione al Vecchio Continente, ovvero all’Europa e più in generale anche ad Asia e Africa, oggi non è quasi più così. Perché, è ormai sotto gli occhi di tutti lo sviluppo economico che sta investendo gli Emirati Arabi Uniti e in particolare la città di Dubai, potendo, rappresentare, così, la nuova frontiera di coloro, artisti, ma anche imprenditori e liberi professionisti, che sono in cerca di successo e ricchezza.

          In un articolo del Sole 24 ore di alcuni giorni fa, la giornalista Sara Magro, infatti, racconta di una città che non è stata colpita dall’emergenza sanitaria al contrario di quanto accaduto alle metropoli europee, e che anzi ha ripreso subito il proprio ritmo incessante, “con i cantieri a conquistare altri pezzi di deserto”.

         E così, gli scenari arabi che furono protagonisti de “le mille e una notte” si sono trasformati, riempiendosi di cattedrali nel deserto. Si trovano a Dubai, infatti, i grattacieli più alti del mondo e, come nell’antico Egitto le Piramidi arrivavano a lambire il cielo come segno di onnipotenza dei Faraoni, oggi questi edifici si ergono per manifestare le ambizioni di potere di uno Stato dall’incontrollata ricchezza.

         L’Expo 2020 infatti, seppur rinviato di un anno, ha fatto confluire nella metropoli gran parte del sapere del mondo, facendola diventare almeno per la tutta la sua durata, centro propulsore della tecnologia del domani, di quel futuro non troppo lontano che sarà caratterizzato da device, ossia dispositivi ad alta tecnologia, molto più smart che dialogano sempre meglio con l’uomo al punto di leggervi anche nel pensiero. Ma se è vero che gli Emirati Arabi Uniti sono uno “Stato” da esattamente 50 anni, quando cioè il 2 dicembre 1971 gli sceicchi di sette tribù si riunirono attorno ad un’unica bandiera, oggi non hanno quasi più niente che richiami alla loro tradizione fatta di pescatori di perle e beduini del deserto.

           E a conferma di ciò, Dubai, metropoli di quasi 3 milioni di abitanti, è una delle città più visitate al mondo che può vantare il centro commerciale più grande del Pianeta, il Dubai Mall, ma è anche una città piena di controversie e disparità, quando ad un certo punto dalla sfavillante lusso si passa al deserto dove una distesa di sabbia infinita riporta  indietro di quasi 2 secoli. Un contrasto, dunque, di odori e colori che sempre più caratterizza le metropoli d’oggi, sempre più simili le une con le altre, ma sempre più divisorie all’interno.

        Anche se, d’altro canto, bisogna riconoscere che dei passi da gigante sono stati fatti sul piano dei diritti umani e della parità di genere. Se i Paesi arabi infatti, non sono propriamente conosciuti per i diritti delle donne, qui il governo ha legalizzato le convivenze tra persone non sposate e, sempre come riportato dalla giornalista del Sole 24 ore, esiste una norma per cui le donne devono occupare almeno il 50% dei seggi nel Governo federale e il 66% dei ruoli istituzionali. Sarà forse questa una manovra per tendere sempre più “all’occidente”?

      Sebbene in questi casi è giusto dire che non è sempre oro ciò che luccica, è anche vero che Dubai non è solo la capitale dell’extra lusso e dello sfarzo ad ogni costo, ma meta ambìta da start upper, artisti, chef stellati e dai creativi che, attirati dal fermento che si respira all’ombra del Golfo Persico, hanno deciso di fare qui le proprie fortune. E parrebbe questo un processo simile a quello che ha alimentato il sogno americano di metà ‘900, trasformando New York nella città che non dorme mai, dove la scalata sociale verso il successo è alla portata di tutti.

        E allora, in conclusione, viene naturale chiedersi se New York e gli Stati Uniti siano destinati a lasciare il passo a Dubai. Sicuramente è un processo che richiederebbe anni, anche se il rischio più immediato sembrerebbe quello che gli Emirati stiano attraversando una momentanea fase di boom economico e come tale destinata a fallire. Anche perché un altro aspetto importante è che a New York è riconoscibile una cultura americana nonostante la moltitudine di etnie che la abitano, mentre Dubai rappresenterebbe una sorta di nuova Torre di Babele, senza radici stabili e consolidate con l’inevitabile destino di crollare sotto le prime correnti. Saranno pure riflessioni valide che al momento possono tradursi solo in ipotesi: chi vivrà vedrà!

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