Viaggio nei “paesaggi impiattati” - Mariella Spagnolo

Viaggio nei “paesaggi impiattati” - Mariella Spagnolo

È consuetudine tra le persone che viaggiano, sostando in luoghi più o meno celebri, di scegliere come souvenir per sé o come dono ad altri, dei piatti decorativi di fattura per lo più artigianale. Spesso i soggetti preferiti sono raffigurazioni di paesaggi urbani o naturalistici, come si possono notare sulle pareti delle case che abitiamo o frequentiamo. Varie sono le tecniche espressive di chi realizza questi manufatti.

A volte le tonalità accese dei colori o certe forme stilizzate immergono gli elementi paesaggistici adattati alla circolarità del piatto in un’atmosfera quasi fiabesca o onirica che incanta l’osservatore. E, come accade di fronte ad un dipinto o a uno scatto fotografico d’autore, la mente, incuriosita e sollecitata dalla bellezza dell’immagine, può abbandonarsi ad un’esperienza estetica, oppure addentrarsi con un pensiero visionario nel mondo fantastico del paesaggio "impiattato" che incanta lo sguardo.

Anche se si tratta di semplici scorci, o di pochi elementi architettonici, essenziali per risalire al luogo reale a cui il decoratore si è ispirato, la mente inizia un suo viaggio immaginario di pochi minuti... o forse di tanti, perché può anche capitare di smarrirsi e perdere il senso del tempo. 

Mi è capitato, nel lungo periodo del lockdown, costretta come tutti a trascorrere giornate intere nel chiuso della casa, quando il desiderio di spazi aperti si faceva più smanioso e pressante, di intraprendere proprio uno di questi viaggi. In un momento di pausa, dopo estenuanti ore di lavoro al computer, mentre sostavo davanti alla finestra che mi rimandava il vuoto e il silenzio della strada, lo sguardo si spostò sul muro accanto dove da anni era esposto un piatto-souvenir acquistato a Gerusalemme, con un bel paesaggio.  Mai lo avevo osservato con tanta attenzione e gustosa curiosità come in quel momento. 

Così, con un volo fantastico improvviso, mi ritrovai sotto un minuscolo portico addossato a mura possenti o, forse, sopra la cupola dorata di un edificio sacro. E da lì con stupore cominciai ad osservare la realtà del luogo che magicamente cominciava ad animarsi come quando si sblocca il fermoimmagine di un video. Una carica aggiuntiva di fantasia la trasfigurò all’istante e mi lasciai piacevolmente avvolgere dai colori, dalle atmosfere, dai profumi esotici che mi sembrava di percepire.

Ed ecco un sorprendente susseguirsi di immagini: una figura incamminata, un bambino che gioca inseguendo la palla, l’acqua gorgogliante di una fontana, il volo improvviso di una rondine in un cielo disegnato con infiniti puntini blu.

Come spettatrice in un sogno venivo sospinta da uno spazio ad un altro, dall’interno all'esterno e viceversa. Mi accorsi di una finestra aperta e di una piantina fiorita sul davanzale. Guardai dentro, richiamata da una musica festosa, e vidi un abile pianista con accanto la donna amata, rapita dalla melodia.

Poi mi voltai verso una piazza affollata- ricordo quanto amabile si rivelò quell’assembramento… - attratta improvvisamente dalle numerose figure di uomini e donne in movimento e dalle voci energiche dei venditori ambulanti che esaltavano colorate mercanzie su piccoli carri.

Poco lontano c'era un giardino, una panchina e un uomo solo seduto, con la testa piegata, lo sguardo basso. Prese le distanze dal mormorio crescente della folla, mi diressi là, verso quella figura solitaria afferrata da uno sconforto impenetrabile.

Quale dolore l’affliggeva? Ma ecco che l’uomo ebbe un sussulto quando vide la palla lanciata dal bambino rotolare fino ai suoi piedi. Con il volto raddolcito la raccolse per darla al bambino che l’afferrò sorridendo e corse via…

Anche l’uomo sorrise e se ne andò, a passo lento, con una luce nuova negli occhi, un brillio dorato che ora si estendeva come una nuvola leggera sull’intero paesaggio. E sfumandolo rimise il fermoimmagine a quel mondo fiabesco che per un tempo indefinibile mi aveva irretito.

Quel mondo dove tutto è irreale e possibile, dove scorrono scene consuete di vita semplice, quotidiana, ricreate dalla leggerezza di un immaginario che ci portiamo dentro come retaggio della nostra fanciullezza, ma anche come proiezione di desideri profondi.  E nel tempo sofferto del confinamento grande era il desiderio di uscite, di nuovi viaggi, o di luoghi conosciuti da rivisitare.

Svanita l’illusione che può darci un paesaggio dipinto sulla rotonda superficie di un piatto, acquisiamo una nuova consapevolezza: quel manufatto non è più soltanto un oggetto decorativo, messo lì per riempire il vuoto di una parete, per fare memoria di un viaggio o, se ricevuto in dono, richiamarci un affetto, un’amicizia.

Ogni paesaggio rappresentato in un piatto fissato al muro, capace di farci viaggiare con l’immaginazione, è, soprattutto, un gradevole nutrimento per la fantasia e per l’anima che sa custodire ancora la sensibilità del “fanciullino” di pascoliana memoria.

Mariella Spagnolo

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