In questo mese dedicato al tema del tempo merita di certo una riflessione a parte l'argomento del tempo in musica. No, non farò certo un trattato; ci mancherebbe: non è questo l'intento. Ma ci arrivo cominciando dalle parole che molto spesso pronuncia il mio M° di pianoforte Angelo Mantovani, davanti allo spartito da studiare: "Attenzione al tempo... tempo… qui bisogna contare". Il tempo musicale è dunque certamente un fatto di numeri; a ragione dei rigorosi cultori dei numeri come Pitagora: "nel numero non penetra menzogna. "
Dunque, una componente fondamentale della musica è il tempo e la sua verità. Quasi sempre è il compositore con un'annotazione sulla scrittura a indicare quale sarà il tempo: adagio, allegretto, allegrissimo, andante, grave, larghetto, prestissimo e via di seguito. Ognuno di questi tempi è poi misurato con il numero dei battiti al minuto e poi le indicazioni 4/4- 3/8 -19/16 e chi più ne ha più ne metta.
C'è proprio un tempo nel tempo del tempo e si misura tutto, senza contare altre infinite alterazioni e complicazioni dei tempi binari, ternari, quaternari, composti, semplici eccetera, eccetera. Tutto ciò per misurare il tempo della musica, alla quale ci si appresta solitamente con il temuto solfeggio; e qui invece di far partire la noia facciamo partire il "bello": a ciò che dal tempo della musica ci può condurre al tempo della vita quotidiana con tutte le sue trappole. Il solfeggio consiste in un battere e un levare, una tensione e un rilassamento; un'immagine esemplificativa può essere la bacchetta del tamburo che batte con energia e si leva senza sforzo.
A me fa venire in mente l'atto respiratorio: inspirazione, espirazione e non mi addentro nella pausa che si frappone anche se è proprio quella pausa ad assumere grande importanza; è come se rappresentasse il silenzio e senza silenzio non può esserci musica. Le persone compiono circa 13 atti respiratori al minuto, si può dire un tempo allegro andante? Diciamolo: ma in Oriente, nei testi classici del Qgong venivano citati personaggi che riuscivano a respirare una o due volte al minuto. Se si considera che anche l'età non si misurava in anni ma con il numero dei respiri possiamo dire: Benedica, lunga vita!
Mi piace dire allora che il tempo della musica è il tempo del respiro della vita.
Quando si suona uno strumento devi essere concentrato sul presente, non puoi pensare alla nota che hai sbagliato o che non hai suonato prima né puoi pensare di suonarla ora; è già passata, persa; guai poi se ti preoccupi del difficile passaggio che ti aspetta alla pagina successiva. Non devi fare niente di tutto questo: devi essere sul pezzo, come dicono quelli moderni, devi essere nel presente. L'unico tempo possibile.
Davanti a uno spartito non si può procrastinare, né anticipare, non si può tenere il bello per dopo, né sbrigarsi a finire, non si può rimuginare, recriminare, arrovellarsi: non si può pensare, non si possono fare un sacco di altre cose riconducibili alle molte trappole della nostra vita quotidiana.
Insomma, che dire? Ci vorrebbe uno spartito ideale anche per le nostre vite. Assomiglierebbe forse a quello che viene definito lo spartito più difficile del mondo: “Cadenza apocaliitica” di Prokofiev, che appare come un autentico arcano? Chissà… ma nel nostro vero spartito ideale il tempo della musica diviene il linguaggio della luce, il più bel frutto dell'anima. Che meraviglia poi se lo "spartito" fosse quello utilizzato dal violinista Yudi Menhuin quando a Berlino nel 1921 al termine di un concerto di musiche di Bach, Beethoveen e Brahms, ricevette nel suo camerino la visita di Einstein il quale si rivolse a lui dicendo: "Adesso io so che in cielo c'è Dio".
Et voilà.
Il Tempo e la Musica o la Musica del Tempo? - di Mariangela Filoni
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