La Ri(e)voluzione Sociale delle nostre vite | Gianmarco Pennetta

La Ri(e)voluzione Sociale delle nostre vite | Gianmarco Pennetta

   In un mondo che corre, evolve e si aggiorna molto più velocemente rispetto a 15 anni fa, parlare di rivoluzione digitale potrebbe sembrare già superato. Ma ciò che sta accadendo sotto gli occhi di tutti, favorito anche dalla pandemia da Covid-19, forse evidenzia ancora una volta che non tutti i mali vengono per nuocere. Settori meno digitalizzati, come il mondo della scuola primaria e pubblico impiego ad esempio, vanno confrontandosi con un fenomeno che solo fino a marzo dello scorso anno sembrava molto distante. Dad e smart working, infatti, stanno diventando nuovi termini di uso comune, così come più di dieci anni fa lo furono smartphone e social network, quando un’intuizione dello statunitense Mark Zuckerberg trasformò Facebook in un’app per cellulari intelligenti, consentendo a chiunque di condividere  la propria vita privata tramite le foto, senza dover necessariamente utilizzare un pc. 

     Ricordo che nel luglio del 2011, durante gli esami di maturità, solo una mia compagna di classe aveva il telefono che le permetteva di connettersi a Internet con una rete a banda larga. Da allora, la tecnologia si è sviluppata molto rapidamente rispetto agli anni precedenti. Tutti cominciarono ad acquistare uno smartphone e le applicazioni di messaggistica istantanea presero rapidamente il posto degli sms. Frattanto nel mercato telefonico iniziò una corsa frenetica fra le compagnie per il lancio di tariffe funzionali al nuovo utilizzo di quello che è diventato un oggetto indispensabile per il nostro quotidiano.

       Nel corso degli anni abbiamo assistito ad una trasformazione dei social, anche da un punto di vista dei contenuti. La campagna di sensibilizzazione sul Ddl Zan è soltanto l’ultimo esempio in ordine cronologico di come l’uso di queste tecnologie sia maturato insieme agli utenti stessi. Se dapprima potevano essere definiti come un contenitore di “oggetti” orientati allo svago, oggi non è più solamente così. Personaggi pubblici come Fedez e Chiara Ferragni, dopo aver basato le proprie fortune sul meccanismo della “condivisione virale”, fondamento di Internet, ora utilizzano i social per informare e sensibilizzare i propri fans sulle questioni d’attualità che “infiammano il dibattito pubblico”. Come fatto notare dalla rivista online “Will Italia”, questo fenomeno avvicinerebbe gli infulencer alle questioni care ai partiti politici, trasferendone il dibattimento sulle piattaforme utilizzate soprattutto dai giovani, oggi sempre più distanti dall’idea di partito.

      I social network hanno assunto un profilo più professionale grazie alla nascita di figure qualificate legate alla gestione della comunicazione a cui le aziende si affidano, diventando, inoltre, un punto d’osservazione dei responsabili delle risorse umane. È quasi sicuro, infatti, come in fase di selezione i nostri profili social vengano “sbirciati” per capire meglio se siamo adatti o meno a rivestire quel ruolo in azienda.

     Con la diffusione dei profili social delle testate giornalistiche, informarsi oggi è molto più facile. Il rovescio della medaglia è rappresentato dalle fake news, le notizie false. Come dicerie di paese, viaggiano velocemente e raggiungono un pubblico più numeroso, creando panico e disinformazione soprattutto in quella fascia di età poco incline all’utilizzo dei nuovi media. Personalmente ritengo che, nel giro di pochi anni, questo fenomeno sia destinato a terminare, se non altro, perché saremo tutti più avvezzi all’utilizzo delle nuove tecnologie e avremo sviluppato una certa maturità e senso critico.

      Complice il dilagare di Instagram e TikTok, è emersa la differenza dell’utilizzo di Internet, specialmente fra le generazioni dei due millenni. Così, se la mia generazione, quella dei trentenni, definita dai sociologi dei Millennials, è cresciuta utilizzando YouTube, My Space e Facebook, la Generazione Z, che racchiude i ragazzi nati dal 2000, preferisce esprimersi attraverso un linguaggio più divertente, spontaneo e veloce. Le Instagram Stories, per esempio, hanno conquistato il pubblico più giovane per la loro caratteristica di restare visibili solo 24 ore.

       Ma se i social fanno ormai parte della nostra vita, il mondo del digitale ci propone nuove forme di “cittadinanza attiva”. È il caso della Gamification, «l’applicazione di dinamiche di gioco fuori dai contesti ludici» come la definisce Enrica Brocardo nel suo articolo nell’inserto di Repubblica, che nell’ultimo anno ha preso sempre più piede in diversi campi. La usiamo quasi tutti i giorni, forse senza rendercene conto. Dalla sfida di Apple Watch, che sprona a correre di più per raggiungere il numero prefissato di chilometri percorsi nell’arco della giornata, fino all’ormai noto Cash Back di Stato; dalla banca online che riduce il consumo di plastica, alla lotteria degli scontrini. È definito Social Credit System, un sistema a punti molto in uso in Cina, che consente, attraverso il proprio operato, di acquistare beni e servizi spendibili nella vita reale, come biglietti del tram, detrazioni fiscali, premi di ogni natura. 

     Tutte queste trasformazioni socio-culturali, definite “Quarta Rivoluzione Industriale”, sottolineano come il nostro Paese non si sia fatto trovare pronto. Basti pensare che il Wi-Fi libero non è accessibile in tutta Italia alla stessa velocità. Il Recovery Plan rappresenta forse l’ultima possibilità per l’Italia per non perdere il treno della digitalizzazione, sicuramente è un’opportunità per migliorare le infrastrutture e completare le grandi opere tristemente note. Ma ci stiamo preparando per coglierla a pieno?

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